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Animali
Fantastici – I Segreti di Silente: la recensione del terzo film, diretto da
David Yates
Animali
Fantastici – I Segreti di Silente (Fantastic Beasts: The Secrets of Dumbledore)
segue le orme di Animali Fantastici: I crimini di Grindelwald (la recensione)
in quanto, proprio come il predecessore del 2018 non presentava praticamente
alcun crimine, questo terzo capitolo del franchise prequel della saga di Harry
Potter non vanta alcun autentico segreto.
La rivelazione
che Silente è gay non è certo né clamorosa in se (dal momento che era
apertamente implicito già nel precedente film, peraltro dopo anni di
dichiarazioni pubbliche della stessa J.K. Rowling …), né quel tipo di
espediente narrativo che potrà interessare davvero a qualcuno che non sia
meramente ascrivibile ai più irriducibili dei potterofili. Funzionale ma mai
‘magico’, questo prodotto hollywoodiano teso a spremere ulteriormente una
property dalle uova d’oro ci ricorda, se mai ce ne fosse bisogno a 21 anni
dall’esordio cinematografico della saga, che tutte le cose buone dovrebbero
avere – a un certo punto – una meritata fine, e non tenute in vita coi
macchinari.
Riprendendo da
dove I crimini di Grindelwald si era interrotto, I segreti di Silente vede il
professore di Hogwarts Albus Silente (Jude Law) arruolare l’uomo che sussurra
alle bestiole Newt Scamander (Eddie Redmayne), suo fratello Theseus (Callum
Turner), il fornaio babbano Jacob Kowalski (Dan Fogler) e altri due maghi –
Lally Hicks (Jessica Williams) e Yusuf Kama (William Nadylam) – per un incarico
di fondamentale importanza per i due mondi: sventare i piani del perfido
Gellert Grindelwald (Mads Mikkelsen), che vuole muovere guerra al genere umano
per consolidare il posto dei maghi in cima alla catena alimentare evolutiva.
Non c’è alcuna
menzione del fatto che Grindelwald ora abbia le sembianze di Mads Mikkelsen
piuttosto che quelle di Johnny Depp, e questa non è l’unica cosa elusa da
Animali Fantastici – I Segreti di Silente; anche la messa in disparte della
co-leader originaria del franchise Katherine Waterston è dolorosamente
evidente. E tale ‘goffaggine’ di intenti si sente anche altrove, sia in Jessica
Williams che assume il ruolo che fu di Zoë Kravitz nei panni dell’eroica
persona di colore (e apparente interesse romantico di Theseus), sia in Queenie
(Alison Sudol) che si ostini a stare artificiosamente al fianco di Grindelwald
nonostante voglia passare la vita insieme all’amato Jacob, o SPOILER nella
comoda scoperta che la creatura che dona a Grindelwald la preveggenza ha un
gemello che finisce nelle mani di Newt (dandogli così un’arma per contrastare
il potere del suo avversario).
Una lacuna
fondamentale dell’intero franchise di Animali Fantastici è che, a differenza
della saga di Harry Potter, il rapporto di Newt rispetto alla più grande
battaglia decisiva contro il Male (aka Grindelwald) è solamente tangenziale;
invece di avere una vera connessione personale con la lotta (come accadeva tra
Harry e Voldemort), lui è semplicemente un bravo ragazzo trovatosi nel mezzo e
travolto di una tempesta sociopolitica di immani proporzioni.
Eddie Redmayne
continua nell’interpretare Newt come uno stramboide, ma sembra meno centrale
nella storia rispetto al passato, dato che J.K. Rowling rende qui lui e la sua
coorte delle mere pedine ‘cieche’ al soldo di Silente, che non è nemmeno una
presenza molto carismatica, nonostante la scrittrice lo doti di un bagaglio
aggiuntivo di tragedia familiare e Jude Law lo incarni con la giusta miscela di
nobiltà, compostezza e animo.
Nonostante il
titolo, Silente è un simpatico burattinaio non propriamente enigmatico, anche
quando si tratta della sua preferenza per gli uomini, un argomento che discute
con la disinvoltura di qualcuno che non pensa di dire qualcosa di sorprendente
a chi lo ascolta.
Il fatto che si
possa capire cosa sta succedendo con largo anticipo, nonostante la patina
superficiale da spy thriller, è in effetti, specie alla luce delle
complicazioni di I Crimini di Grindelwald, un piccolo sollievo. E la gestione
di David Yates rimane diligente, costellata di momenti lucidamente fantasiosi
che non soverchiano mai il materiale emotivo, che riesce ad emergere.
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